ԲԱՐԵՒ ՀԱՅԱՍՏԱՆ / BAREV HAYASTAN
L’Armenia chiede di essere ascoltata. La sua voce è una melodia nitida e vibrante, che riecheggia tra le rocce e si spande per gli altopiani. In questo tour la esploreremo a settembre, quando i suoi paesaggi sconfinati e brulli si riscaldano con gli ultimi raggi di sole estivo e i mercati traboccano dei frutti più succosi dell’anno.
Il Caucaso corre velocissimo e cambia di giorno in giorno. È anche per questo che da quando ci sono arrivata per la prima volta, nel 2015, ho sentito il bisogno di continuare a tornare, e ogni volta era sempre e continuamente diverso. E da quando la guerra è tornata in queste terre, la rabbia delle persone tuona ancora più forte.
Erevan è una città monumentale ed elegante che freme di vita, di cultura e creatività, che risponde alla violenza con l’arte e la musica. Gyumri, a trentatré anni da un terremoto devastante, è una città che risorge ogni giorno dalle macerie grazie alla tenacia dei suoi abitanti. Sulla via per il nord faremo soste sorprendenti: il Vaticano armeno, Etchmiadzin, un tempio della comunità yazida d’Armenia, le impressionanti ciminiere della centrale nucleare di Metsamor e alcuni capolavori architettonici segreti lasciati dall’Unione Sovietica in queste terre.
Il canyon del Debed è un luogo spettrale e cyberpunk, dove i ciclopici relitti della lavorazione del rame sputano ancora fumo dalle ciminiere, mentre, a strapiombo sulla gola bruciata dal sole dell’estate, i monasteri millenari di Haghpat e Sanahin sembrano non invecchiare mai. Sulla via per il lago Sevan faremo una sosta nella città sovietica di Vanadzor, che gli abitanti chiamano ancora Kirovakan, per poi proseguire verso Dilijan. Ci fermeremo al villaggio di Fioletovo, dove il saluto per strada, tra oche, galline e bambini in bicicletta è zdravstvujte: a Fioletovo vive da oltre due secoli una comunità molokana, di etnia e lingua russa. A Sevan, arroccato su quella che era un’isola poi diventata penisola a seguito dell’abbassamento del livello del lago, c’è uno splendido monastero. Ai suoi piedi, la leggendaria casa degli scrittori sovietica, fatta di due iconici edifici: uno costruttivista, degli anni ’30, e uno modernista, degli anni ’60.
Da Sevan proseguiremo verso gli altopiani del sud con qualche altra deviazione sovietica via Noratus, il più grande campo esistente di khachkar, le pietre-croci simbolo della cultura armena. Da lì, la strada si inerpica attraverso i coni smussati di antichissimi vulcani spenti. Il Caravanserraglio di Selim è un luogo eterno, che profuma di via della seta, spalancato sui rilievi aridi del sud, che sfumano all’infinito verso il Syunik e poi verso l’Iran. In Vayots Dzor, una delle regioni più scenograficamente appaganti dell’Armenia, faremo una deviazione per il villaggio di Yeghegis, un emblema della complessità etnica e storica di queste terre. Storicamente abitato da armeni e da una misteriosa comunità ebraica medievale, fu poi popolato da azerbaigiani, a loro volta fuggiti e sostituiti nel 1988 da nuovi armeni scappati dal sanguinoso pogrom di Sumgait, alle porte di Baku.
Da Yeghegnadzor ci rimetteremo sulla strada per Erevan, prestando una visita allo spettacolare monastero di Noravank, circondato da rocce tendenti al rosso. Se il tempo ce lo permetterà e l’Ararat sarà visibile, faremo una sosta anche al monastero di Khor Virap, che si trova proprio ai suoi piedi a poche centinaia di metri dal confine con la Turchia, nella piana che produce la maggior parte della frutta e della verdura d’Armenia. Se ci sarà foschia, devieremo per un’ultima sosta al monastero di Geghard, scavato nella roccia, prima di rientrare a Erevan.
Sarà un viaggio intenso, focalizzato sull’ascolto e la comprensione di una cultura indigena millenaria che ha assimilato moltissimo dai popoli circostanti, ma ha ben chiara la sua storia e la sua identità.
Anche questo viaggio è organizzato da Soviet Tours, tour operator con sede a Berlino fondato da Gianluca Pardelli, fotoreporter e grandissimo esperto di mondi sovietici e non solo.