Itinerari | Notte sui treni dello Jutland tra Germania e Danimarca

Pubblicato il 17 Febbraio 2016

Scritto da Eleonora

Partiti da Varsavia con destinazione Copenhagen (via Danzica, Leba, Berlino, Amburgo), senza un biglietto InterRail ma con i soli biglietti offerta di DeutscheBahn (19 o 29€ a tratta, a prescindere dalla lunghezza: abbiamo risparmiato circa 80€ sul biglietto InterRail, e abbiamo viaggiato per più giorni), siamo finalmente arrivati a Lubecca, un piccolo gioiellino di marzapane, stando a casa di una coppia di fulminatissimi designer italiani trasferitisi lì – e la ragazza, fra l’altro, a Milano abita a 50m da casa mia!

Qui le foto del viaggio.

Piccolo dettaglio: con le offerte DB compri il diritto a viaggiare, non il posto a sedere. Il che significa che potresti dover viaggiare in piedi o non viaggiare proprio, se il treno è pieno.

Vista sulla Chiesa dall’appartamento dove stavamo, una mansarda.

Lubecca è un paesone da fiaba, ma dopo un giorno intero glicerina a mille e casette colorate, inizi a percepire un incipit di diabete e senti il bisogno di tornare alla realtà e alla vita vera. Quindi, in realtà con un po’ di sollievo, ci dirigiamo alla stazione dei treni.

Il treno che avevo prenotato era danese (quindi piccolissimo), proveniente da Amburgo e diretto a Copenhagen via isole – arrivato a Puttgarten, il treno viene caricato su un traghetto e scaricato a Rødbyhavn, sulla prima isola danese, collegata alle altre da lunghissimi ponti, fino a Copenhagen. Nonostante i trasbordi, ci mette solo quattro ore: saremmo arrivati nella capitale danese entro sera, con Anja e Lee ad aspettarci nei tranquilli sobborghi di Valby.

Il treno arriva. Le porte si aprono – non scende nessuno.

Un giapponese col trolley fa per salire, ma la controllora danese poliglotta inizia a urlare che il treno è pieno e non farà salire nessuno per motivi di sicurezza.

Panico.

Proviamo a blandirla alla maniera italiana, sorrisini e manine in preghiera, massì, dai, stiamo in piedi, non c’è problema, fischia dobbiamo essere a Copenhagen entro stasera, ti prego, eddai. Niente. Coi controllori danesi non si discute: non ci sono le condizioni per viaggiare in sicurezza e non si sale. Punto.

L’idea di passare un’altra notte tra casette di Hansel e Gretel mi distrugge il pancreas.

Lubecca e me in miniatura 

Andiamo all’ufficio informazioni della stazione dove un signore di mezza età molto sveglio e con un inglese impeccabile ci tranquillizza: per scusarsi del disagio, ci farà un pass speciale che ci consentirà di viaggiare gratis su qualsiasi treno tra Lubecca e Copenhagen, finché non saremo arrivati.

Stentiamo a credergli. Scrive un papiro a mano in tedesco, lo timbra, lo firma, e ci sembra di avere il lasciapassare speciale di un re…

Il primo EuroCity via Puttgarden è alle 8 di mattina e si rischia ancora che sia pieno come quello della sera: viaggeremo dormendo sui treni regionali per arrivare prima, tanto comunque non avremmo saputo dove passare la notte. Ma i treni regionali non passano da Puttgarden: fanno tutto lo Jutland.

Prima tappa: Kiel. Inevitabile collasso sul treno dopo lo shock emotivo. Controllore fricchettone che scherza sul nostro foglio alla “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”…

Seconda tappa: Flensburg, l’ultima città sul confine. Arriviamo verso l’una di notte e cerchiamo un posto per dormire chiedendo informazioni ai tassisti, ma i prezzi sono decisamente… fuori budget. Il primo treno per la Danimarca è alle 5.37: si dorme in stazione.

Questa è piccola ma abbastanza sicura e la polizia fa controlli ogni ora. Scegliamo la panchina più comoda, leghiamo gli zaini insieme con una corda alla panchina e li chiudiamo con dei lucchetti.

Il mio compagno di viaggio collassa quasi istantaneamente e io rimango sveglia da sola fino alle 3 e mezza, quando, come una miraggio, compare una signora sui quarant’anni, molto piccolina, con una borsa nera stretta al petto.

Ci guardiamo e ci sorridiamo. “E’ buona”, penso.

A gesti, cerca di spiegarmi qualcosa che non capisco. Le chiedo se parla inglese o tedesco, ma parla ceco e pochissimo tedesco e mi dice “Tasche” – borsa. Non capisco ancora. Ah! Le scappa la pipì e chiede se posso tenerle la borsa perché la porta del bagno è rotta…Ma certo! Diventiamo amiche nel tempo di un secondo sorriso.

Quando torna, sempre a gesti, mi chiede se la posso aiutare a salire in cima a una piccola edicola dentro il sottopassaggio perché ha visto una strana presa elettrica sul soffitto e vuole cercare di ricaricare il cellulare. La aiuto. In alto smanetta con dei cavi che lega al caricatore: incredibile, funziona! Poi mi lascia caricare il mio, e stiamo lì sedute per terra ad aspettare che raggiunga almeno il 20% di batteria, il minimo per qualsiasi emergenza e per far sì che suoni la sveglia. Non esistevano ancora le power bank…

L’edicola vende souvenir di Flensburg: un posto veramente inutile, sul mare. Modellini di barchette, libri fotografici delle sue innumerevoli bellezze, cianfrusaglie varie design 1979. Ma dove diavolo siamo…?

E’ tutto davvero surreale. Fuori c’è una nebbia densissima e umidissima, stare sui binari all’aperto è impossibile, troppo freddo. Non è completamente buio: a Nord d’estate non è mai completamente buio. Già dalle tre il cielo diventa azzurro scuro e la nebbia violacea, con le insegne dei taxi illuminate in fondo allo spiazzo, là, lontano.

Mi prende un colpo di sonno e dormo per una ventina di minuti. Mi sveglia la polizia che mi chiede se stiamo bene, se è andato tutto a posto, se gli ubriachi che bazzicano la stazione ci hanno dato fastidio. Sono stati i più tranquilli e innocui del mondo, rispondo.

Mi divoro le riserve di marzapane di nascosto. Però chi è che ha vegliato sul cadavere tutta la notte, eh?

Arrivano le 5.37, incredibile. Collasso istantaneo sui sedili in pile colorato dei treni danesi: che meraviglia… L’unico problema è che la ferrovia dello Jutland è in manutenzione da Vojens in poi, per cui dovremo prendere un pullman sostitutivo.

Terza tappa. Arrivati a Vojens alle 6.20, aspettiamo il pullman nel gabbiotto antifreddo. Non si vede nulla, la nebbia è spessissima. Nel gabbiotto ci approccia un messicano in infradito e bermuda che viaggia con uno zainetto e una chitarra, arrivato direttamente dal Messico. Cosa ci faccia in giro, all’alba, sperduto nei fumi dello Jutland… non è dato sapere.

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Vojens, prima di salire sul pullman.

Ci racconta che sta andando a trovare suo zio e che non ha soldi. Scherzando, gli chiedo se sa che la vita qui è carissima: ma pensava addirittura che ci fosse l’euro!

Decide di andare a prendersi qualcosa da mangiare nel supermercatino 24h della stazione, ma, scioccato dai prezzi, prova a rubare dei panini e della 7up – inutile dire che lo sgamano prima ancora che sia uscito! La polizia gli fa un mazzo quadro in danese e tutta la stazione è scioccata da quest’evento, unico e irripetibile nella memorabile storia di Vojens.

Saliamo sul pullman, che ci porterà a Kolding. Rintronata da questa notte assurda, mi abbandono al sonno, mentre un sole pallidissimo sorge, ovattato dalle nebbie…

La nebbia si dirada pian piano a Vojens.

Quarta Tappa. A Kolding prendiamo l’ultimo treno, l’InterCity per Copenhagen. Finalmente. Mi sveglia la controllora, una donna sui sessantacinque che parla inglese meglio di come lo parlerò io mai nella vita. Mi chiede il biglietto e, mentre lo cerco, le spiego la storia del pass tedesco blablabla. Ma tanto lei sa perfettamente anche il tedesco, quindi non c’è alcun problema. Anzi, sì. Perché il pass non si trova. Non c’è. Svuoto tutto e non c’è.

La controllora mi crede, le faccio vedere il biglietto elettronico Lubecca-Copenhagen e decide che finirà di controllare il treno e al ritorno passerà da me per vedere se l’avrò trovato. Mi sale il panico. Dopo tutto questo casino non oso immaginare a quanto ammonterà una multa danese…mille euro? duemila? cinquemila!? Perché sono sempre così idiota!?

Impossibile, ma il biglietto non c’è. Voglio piangere. Nella disperazione del mio ineluttabile destino, crollo dal sonno. Mi sveglio che la nebbia è sparita, si vedono le prime case dell’area urbana di Copenhagen, tra le zolle di terra grandissima coperte di erba verde. La controllora non è passata? Stiamo quasi per arrivare. Eccola. Si avvicina, e con lei indubbiamente anche l’apertura seduta stante del mio mutuo per multa danese.

Mi sorride. Mi dice “mi ha telefonato il mio collega che guidava il pullman da Vojens a Kolding: hanno trovato il tuo pass, l’avevi lasciato sul sedile! Sei tu Eleonora Sacco, nata a Milano blablabla?”

N o n  p u ò  e s s e r e.

Dalla gioia e dalla stanchezza mi viene voglia di saltarle addosso e abbracciarla, non è possibile! Primo impatto con la Scandinavia nella mia vita: 10 e lode. Il suo collega ha visto che dovevamo andare a Copenhagen e ha chiamato il primo treno che partiva da Kolding, pensando che dovessimo per forza essere lì…

Ogni volta che racconto questa storia stento a credermi da sola. E’ difficile descrivere paesi “introversi” come quelli scandinavi, ma questi piccoli dettagli aiutano a farlo. Hanno una specie di cura speciale per gli esseri umani. Vogliono bene agli sconosciuti. In una maniera superficiale, certo – ma la gentilezza e la preDanimura sono davvero di casa, lì.

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