Alla fine ci sono andata: sono stata al Lago delle Locce, sotto la parete Est del Monte Rosa, il gran bestione. Erano anni che volevo vederlo da vicino, respirarne l’aria pungente. Ho aspettato che le gambe fremessero e mi chiedessero di andare. Una giornata di sole immenso e insolito tepore, tre amici e via, partiti.
La prima conseguenza dell’intraprendere un cammino lungo – come La via degli Dei – è che dopo, metabolizzati gli sforzi, le sofferenze e le gioie, camminare diventa una droga. La montagna diventa una necessità, le gambe scalpitano e chiedono quell’adrenalina e quell’estasi del camminare su un crinale, l’aria rarefatta, la roccia viva, l’erba secca, i boschi o i piccoli sentieri di alta montagna dove stare in bilico sullo strapiombo, concentrandosi solo sulla bellezza dei luoghi e sul mettere un piede in fila all’altro, e poi un altro ancora.
Non fraintendetemi. Anche io per anni ho detestato i nordeuropei sessantenni iper attrezzati che scalano il K2 un weekend sì e l’altro pure. Principalmente per invidia, ammetterò. E anch’io per anni ho detestato andare in montagna, perché mi rievocava solo pane e tonno indeglutibile, canzoni imbarazzanti urlate per tutte le valli da bambini stonati e acquazzoni a 2000m in posti infami delle gite con l’oratorio (quando ero una painderoutiana imberbe). Per me montagna era solo freddo e sofferenza in paesaggi a cui ero perfettamente indifferente.
L’ho rivalutata quando ho iniziato a leggere chi la ama da molto tempo e ne incarna la filosofia. Apprezzarla teoricamente è più facile, dirò: eremitaggio, silenzio, natura imponente, paesaggi dolci e caldi dell’Appennino o aspri e magnifici delle Alpi. A livello pratico serve che scatti un interruttore, e forse serve davvero un trauma forte e qualcuno che ti tenda la mano per rialzarti quando sei demoralizzato e abbattuto. Se ti rialzi e cammini oltre quello che pensavi di poter fare, allora è fatta: la montagna ti ha stregato.
Camminare insegna il metodo, la costanza, la resilienza, la resistenza, la perseveranza. Insegna una regola al proprio bambino capriccioso interiore. Insegna a non vergognarsi di piangere dal male, a fermarsi e accasciarsi a terra dal dolore, per poi radunare le forze e ripartire. Insegna che c’è un ritmo musicale nei propri passi, e che va rispettato. Insegna l’autocontrollo e la percezione del proprio corpo. Insegna a dosare le energie, a conservarle, a crearle quando servono. Ma soprattutto insegna a tramutare la sofferenza della fatica in godimento: e lo fa per davvero.
Eleonora a sette anni sgambettava per le Alpi svizzere piangendo e volendo tornare indietro. Domenica scorsa, la stessa persona cresciuta correva sotto il Monte Rosa con i quadricipiti che sprizzavano gioia e chiedevano ancora passi, ancora salite, ancora terra morbida su cui poggiare i piedi.
Non credo diventerò una di quelle pensionate olandesi con le racchette telescopiche e la fascia anti-pezzata sui capelli corti brizzolati da vecchia-ma-giovane-dentro. Però lasciate che vi consigli una camminata che mi ha davvero regalato un’estasi indescrivibile. Quando si cercano spunti su internet salta fuori il mondo, e la lessicografia delle recensioni sui forum di camminatori spazia da “bello” a “stupendo” e poi ricomincia in loop. In sostanza, tutto sembra uguale a tutto e l’unica è chiedere a chi in montagna ci va spesso e se ne intende, sa cosa cerchi e cosa è meglio per te.
Ero in Piemonte e ho chiesto consiglio a chi quelle Alpi le conosce come le proprie tasche. Mi è arrivata una pioggia di trekking stupendi consigliati dalle intrepide camminatrici di Viaggio da sola perché, ma alla fine ho seguito il consiglio dal vivo dello Zio: il Monte Rosa.
Ho passato le mie estati in Piemonte giocando nei prati, nuotando nei laghi e camminando sulle Alpi, ma il grande bestione himalayano non l’avevo mai visto da così vicino. Mio zio ci porta i suoi amici venezuelani e brasiliani, che rimangono sopraffatti da una sindrome di Stendhal alla vista dei ghiacciai, della neve, delle punte over 4.000; ma non serve essere nati ai tropici per stupirsi come bambini…
Il Lago delle Locce e il Monte Rosa da Macugnaga
Pecetto 1414m – Rifugio Zamboni 2070m – Lago delle Locce (o Loccie) 2250m
Difficoltà: molto facile
Durata: 1h a piedi o 20′ di seggiovia fino al Belvedere e 1.15h fino al Lago delle Locce
Quando: al mattino presto. Il sole tramonta prestissimo dietro un muro di 4.365m…
In che stagione: sia per il clima sia per la neve è meglio l’estate; se però avete dei buoni scarponi ed eventualmente semi-ramponi o ciaspole si può andare anche da Novembre a Marzo.
Attrezzatura: niente di particolare, ma se c’è neve bisogna avere dei buoni scarponi. So che vi sentirete un po’ stupidi, ma le racchette da trekking sono fantastiche e non riesco più a farne a meno: consigliate per camminare meglio e più spediti.
Il trekking che ho fatto io è estremamente semplice e adatto a tutti, tremendamente panoramico e anche accorciabile prendendo un tratto di seggiovia. Con un paio d’ore d’auto da Milano (autostrada dei laghi fino a Gravellona Toce, poi statale fino a Piedimulera e poi la strada della valle Anzasca fino in fondo) si raggiunge Pecetto, una carinissima frazione di Macugnaga – fra l’altro, uno dei paesi dove sopravvive la comunità walser, che parla ancora un dialetto tedesco medievale. Si lascia la macchina in uno dei tanti parcheggi gratuiti e si imbocca l’unico sentiero che va verso la parete Est del Monte Rosa oppure si prende la seggiovia in due tranches fino al Belvedere (13€ a testa a/r, 11€ con sconto. Nb. Non esiste lo sconto studenti, ma chiedetelo lo stesso: a noi l’hanno fatto facendoci passare come soci CAI).
Il sentiero accorciabile con la seggiovia dura circa un’oretta ed è in parte su mulattiera e in parte in mezzo a un bellissimo bosco di abeti. La parte veramente impressionante è però quella che passa a fianco del letto del ghiacciaio Belvedere, oggi ritirato, e che ha lasciato sotto di sé un enorme lingua di detriti rocciosi a perdita d’occhio: desolazione lunare pazzesca. Salendo piano piano verso il rifugio Zamboni (ci sono diversi sentieri, ma sono praticamente tutti equivalenti) ci si avvicina sempre di più alla famosissima parete Est del Monte Rosa, che inizia al Lago delle Locce con un muro verticale di 2.000m di altezza, unico di tipologia ‘himalayana’ in Europa!
Il lago delle Locce è un lago blu a forma di cuore proprio sotto la parete ed è il posto perfetto per osservare le lingue di ghiaccio che scendono di migliaia di metri e per farsi venire i brividi al vedere le frane in corso, coi loro boati immensi e cupi, e le rocce che scivolano fino a poche centinaia di metri dal lago… A questo proposito, dal 2015, per via delle frequentissime frane, è vietato avvicinarsi alla sponda sud del lago, dove potrebbero arrivare rocce in caduta libera da qualche migliaio di metri.
Beh, ridendo e scherzando, una frana così grande davanti ai miei occhi non l’avevo mai vista e, con la solita impavidità, me la sono un po’ fatta sotto…
Detto ciò, vi consiglio di cuore questa camminata: la parete Est del Monte Rosa è un posto di una bellezza rara e incontaminata, Macugnaga è ben collegata con Milano e altre città del Nord Italia e soprattutto il sentiero è davvero semplice, adatto anche a chi non è allenato. Mettetelo in lista!
Intanto inizio ad informarmi per l’alta Ossola e l’alpe Devero… Qualcuno di voi c’è stato? Avete qualcosa da consigliarmi? Aspetto i vostri commenti 🙂
Un abbraccio e grazie,
Ele
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5 commenti
Fabrizio
Questa escursione è fattibile anche con bambina di 4 anni abituata a camminare?
Eleonora
In questa stagione direi di no, specie se non avete ciaspole o ramponi.
In estate sì, anche se ci sono sempre due punti delicati quando si scende sulla morena del ghiacciaio.
acasadiclara
l’alpe devero è un luogo magico, anche solo per andare a mangiare lo yogurt con i mirtilli a Crampiolo ????
Luca
ciao Ele… ti consiglio l Alpe Devero.
Ci sono dei sentieri con dei laghi fantastici.
Eleonora
Ne avevo già sentito parlare! Se siete così in tanti a consigliarmela allora… ci faccio un pensierino serio 🙂 grazie mille!