È dura leggere in quarantena, è dura evadere mentalmente, ma me l’avete chiesto e (con enorme fatica) ci ho provato. Vi è piaciuto il post dedicato ai libri sulla Georgia, così, in una fase alta dell’umore sinusoidale, mi sono messa d’impegno ed è venuto fuori un post con i miei consigli di libri sul Caucaso.
Sapete già che non ha senso considerare questi paesi come a sé stanti, i loro confini chiusi ermeticamente. Anche se questo in certi casi succede oggi come conseguenza delle politiche e delle guerre recenti, la storia ci insegna che non è sempre stato così. Regione dalla geografia aspra (basta un qualsiasi viaggio su una lentissima marshrutka per rendersene conto) e difficile, ha fatto degli scambi e dei contatti interculturali la sua migliore ricchezza. Anche se non tutti i governi delle repubbliche attuali sarebbero d’accordo.
La mia lista personale di libri sul Caucaso è divisa in quattro sezioni: Georgia, Armenia, Azerbaijan e Caucaso del Nord. L’onestà però mi fa dire che è una divisione che non ha senso: molti di questi libri spaziano nella geografia, nei popoli coinvolti, nelle lingue, e la divisione sacrifica senza pietà molte autonomie e indipendenze regionali che meriterebbero più attenzione. Insomma, non me ne vogliate, volevo solo consigliarvi un po’ di libri interessanti sul Caucaso che ho letto di recente e va da sé che la lista è tutt’altro che esaustiva, definitiva, must read o altro, e spero che capirete. Andiamo lo stesso?
Libro sintetico, ma che non manca un punto. Per me essenziale per avere le coordinate minime della storia del Caucaso. Che è unitaria per molti secoli, strettamente interconnessa, inscindibile, nonostante le montagne aspre e invalicabili. Dal tumultuoso Caucaso del Nord, le cui popolazioni a tratti hanno oltrepassato lo spartiacque e si sono riversate a Sud (come gli osseti, o i ceceni kist della valle di Pankisi), fino alla formazione di identità sfumate e inafferrabili come quella turco-persiana dell’Azerbaijan. Posto speciale, di rilievo come è giusto che sia, hanno le due culture plurimillenarie e fiere della Georgia e dell’Armenia, con una storia fatta di dominazioni che però non hanno cancellato le loro lingue e le loro culture. Anche per carenza di fonti scritte e di studi più approfonditi, i popoli del Caucaso del Nord hanno meno spazio rispetto a quelli della Transcaucasia, ma è un quadro comunque equilibrato e esauriente nella sua essenzialità.
Per me una lettura fondamentale per iniziare a capirci qualcosa. Ancora, grazie a Laura per avermelo consigliato!
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Un capolavoro e assolutamente pan-caucasico, che racconta l’Ararat da qualunque immaginabile punto di vista e fonde scienza, geologia, religione, etnologia e letteratura in una narrazione magistrale. Non fatevi ingannare dai primi capitoli, ambientati nell’Olanda del misterioso crollo di un traliccio dell’infanzia di Westerman; è da lì che parte la sua ricerca insaziabile per le origini della spiritualità (da ateo convinto), grazie ad alcuni strambi professori del liceo, e che approda a un soffio dalla vetta dell’Ararat, quando lo scrittore supererà l’incredibile groviglio burocratico per scalare l’Ağrı Dağı, la “montagna sacra” oggi in Turchia, ma in realtà attorniata da villaggi di pastori curdi. Tra incontri leggendari, storie incredibili e una interessantissima ricostruzione delle prime scalate sul vulcano e delle teorie del diluvio, Westerman racconta le radici ancestrali di quello che sembra davvero il perno del mondo, intorno a cui tutto ruota. Non è esattamente un libro sull’Armenia ed è ambientato più nelle polverose cittadine della Turchia orientale, sulle orme di Pamuk; ma dopo la lettura (entusiasmantissima) non si avrà più alcun dubbio sull’immenso valore culturale identitario che il popolo armeno, cristiano dal 301 e accerchiato nella storia su tre lati da musulmani, ha costruito intorno a quella montagna, la cui storia è ben spiegata nel libro. E su quanto conteso, e per molti motivi diversi, sia ancora oggi che la cortina di ferro (che passava proprio alle sue pendici) è venuta meno. Decisamente un libro “universale” nel tempo e nello spazio, a dir poco illuminante, di cui ho già nostalgia.
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Il libro adatto a chi è interessato alla storia del genocidio armeno, mai abbastanza sviscerata, vista attraverso la storia della famiglia Arslanian. Vittima due volte degli eccidi e delle marce della morte condotte dall’esercito turco nel 1915, gran parte della famiglia morirà nonostante le memorie dei pogrom e delle altre stragi degli anni precedenti. Dalle fucilazioni nella loro masseria in Anatolia al viaggio infinito per raggiungere Aleppo, le donne e i bambini della famiglia Arslanian riusciranno a raggiungere un loro parente medico in Italia e ricominciare a vivere al sicuro. Finalista al Premio Campiello nel 2004, storia tragica ma molto bella che lessi al liceo.
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Dell’Azerbaijan ho letto poco, ma l’ultimo libro che ho appena finito, un piccolo capolavoro – la storia dell’infanzia e dell’adolescenza caucasiche di Banine, ultima figlia di un petroliere miliardario – è lo specchio dell’epoca d’oro della Baku degli eccessi e dei contrasti incontrollati, dove le bambine studiano russo, tedesco e francese, prendono lezioni di pianoforte e di letteratura, ma poi vengono date senza la possibilità di fiatare in spose a cugini, parenti, rampolli altolocati vent’anni più vecchi di loro. Dove i miliardari affollano le feste mentre gli operai del petrolio vivono di stenti e la città cresce incontrollata, ma senza uno straccio di servizio pubblico degno di questo nome – meravigliosa la descrizione dell’omnibus di Baku, una carrozza trainata da due cavalli denutriti e frustati con cattiveria. Come prima cosa, i bolscevichi in città avrebbero introdotto i tram elettrici.
Ne “I miei giorni nel Caucaso” ho ritrovato la Baku che ho sempre sognato di conoscere e che ormai ha lasciato definitivamente la città dopo le ristrutturazioni aggressive degli Aliyev, che hanno svuotato il centro storico di ogni forma di vita naturale per renderlo un ammasso di pietre morte, monumenti vuoti di un passato composito e glorioso. Dalle campagne azere, con le tenute regno assoluto dei pestiferi cugini di Banine, al famoso boulevard di Baku, dove poter accarezzare il Caspio con le dita, fino agli orizzonti popolati da torri di trivellazione e lontani racconti di villeggiatura aristocratica nel Caucaso delle cittadine termali. Banine cresce in una famiglia litigiosa, dove le personalità ingombranti e soffocanti sono la norma, in una bolla europea ricchissima che sembra eterna ma avrà vita breve. Dopo essere sopravvissuta ai pogromi anti-azeri degli armeni del Dashnak, arrivano gli inglesi e poi l’Armata Rossa. Da un giorno all’altro, il futuro da ereditiera della piccola Banine si sgretola, mentre lei e la maliziosa cugina Gulnar guidano sapientemente i bolscevichi nel requisire i beni nelle ville dei loro vicini petrolieri, con la spilla di Lenin ben fissata sul petto. Banine riuscirà a fuggire a Parigi pochi anni dopo la Rivoluzione, lasciando una Baku martoriata dove non aveva più nessuno. A Parigi, città dei suoi sogni, cambierà vita ed entrerà in contatto con grandi personalità, tra cui Nikos Kazantzakis. Libro meraviglioso, uno dei migliori letti negli ultimi mesi, consigliatissimo come libro a tema Caucaso e non solo Azerbaijan. Ed ecco qui signori, questa era la mia recensione de I miei giorni nel Caucaso di Banine.
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Sulla Georgia ho più difficoltà a consigliarvi un romanzo che sia effettivamente ambientato in Georgia e relativo alla storia e cultura georgiane. In italiano c’è tradotto poco e comunque è più raro trovare libri emblematici per questo paese. Tra tutti, consiglierei questo che però è in inglese. Date però un occhio al post dedicato ai libri sulla Georgia da leggere prima di partire.
Abbastanza una pietra miliare, ricchissima di testimonianze e informazioni, sulla Georgia nella delicata fase di transizione tra Unione Sovietica e indipendenza. Nasmyth viaggia in Georgia da oltre trent’anni e questa raccolta di piccoli reportage sono di fatto la storia del suo amore per questo paese, la lenta scoperta della sua ricchissima cultura. Dal valico di montagna tra la Nord Ossezia-Alania e la Georgia, pieno di tensione ed emozione, seguendo il corso dei leggendari Terek e l’Aragvi, che scorrono sui due versanti opposti del Caucaso Maggiore, fino ai tumulti del 9 aprile freddati dai carri armati lungo il viale Rustaveli a Tbilisi. La poesia non manca mai, grazie a tanti, ricchi e bellissimi riferimenti a chi, come l’autore, ha sognato e romanzato il desiderio di esotico e di oriente che il Caucaso incarnava: i grandi poeti e scrittori russi.
Non c’è la traduzione italiana, ma la scrittura in inglese è semplice e chiara. Per me da leggere per avere qualche elemento base di storia contemporanea georgiana e per tanti aneddoti originali (e non la solita roba trita e ritrita) e ben documentati sulla splendida cultura georgiana.
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Il Caucaso del Nord è una matassa inestricabile di popoli e lingue diversissimi, sparpagliati a macchia di leopardo ai piedi di montagne aspre e imponenti. Alcuni lì da tempi immemori, rimasti isolati e mai assimilatisi agli invasori (come gli osseti, ma non solo), altri deportati e sterminati in epoca staliniana (i circassi, per esempio, ma anche i ceceni e non solo), altri ancora arrivati più di recente e imparentati con il mondo turco dell’Asia Centrale e della Transcaucasia. Insomma, capirete che è impossibile trovare un solo libro sul Caucaso del Nord che non sia un libro di storia, capace di descrivere e dare dignità a tutti questi popoli.
Dal canto mio, di recente ho letto tre bei libri dedicati alla Cecenia, la regione che (suo malgrado) è diventata molto famosa durante le due guerre per l’indipendenza, represse nel sangue e terminate di fatto solo nel 2009. Anche se in Occidente del Caucaso del Nord sappiamo poco o niente, la Cecenia la conosciamo soprattutto grazie ai reportage di Anna Politkovskaja. Ero alle elementari quando ci fu il terribile attentato alla scuola di Beslan, la mia maestra ce l’aveva raccontato in classe e io non sapevo nemmeno dove fosse la Cecenia, ma quel momento me lo ricordo. Immagino sarà lo stesso per voi.
Il libro da cui iniziare è questo, l’ultima raccolta di reportage accuratissimi, in pieno stile Politkovskaja, che gira intorno ai due eventi più eclatanti (e sanguinosi) della seconda guerra cecena – la più spietata delle due, grande prova e peccato originale del primo mandato presidenziale di Putin. Celeberrima l’apertura di uno dei suoi ultimi articoli, “[…] io invece temo l’odio“. Scrittura fluida, emozionale e molto coinvolgente, ma che non molla un colpo quanto a precisione, trasparenza, verità, accuratezza.
Tutti i libri della Politkovskaja sulla Cecenia sono adatti in realtà: date un occhio anche a Cecenia. Il disonore russo e Un piccolo angolo d’inferno.
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Libriccino edito da Keller molto duro, quasi difficile da finire per la quantità di dolore raccontato in così poche pagine. La giornalista slovacca Irena Brežná vive il conflitto in Cecenia e Inguscezia a fianco soprattutto delle donne di Sernovodsk, creature dilaniate a cui è stato tolto tutto e che subiscono i soprusi delle milizie russe. Letto tutto d’un fiato qualche anno fa, intensissimo.
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Un racconto lungo, scritto ovviamente in maniera magistrale, che racconta l’animo fiero e indipendente del popolo ceceno (ma estendibile anche agli altri popoli caucasici) nel momento di sua massima elevazione: le rivolte di ceceni e àvari guidate dal leggendario condottiero Samil’, il più fiero e famoso dell’intera storia del Caucaso del Nord, con lo scopo di respingere l’invasione russa del 1851-1852. Chadži-Murat era il suo braccio destro e questa è la storia (avvincentissima) delle contrattazioni, dei tradimenti e delle politiche in Caucaso del Nord da parte del soprintendente Voroncov, la cui lungimiranza veniva schiacciata dagli insensati ordini di uno zar arrogante e incompetente, che ordinava razzie e carneficine indiscriminate ai danni della popolazione.
Complicato da seguire in ogni dettaglio se non si ha un’idea precisa della storia dell’epoca, ma molto bello e appassionante. Romanzo storico pubblicato postumo ma scritto da un Tolstoj che aveva partecipato direttamente alla guerra caucasica del 1851, pur non avendo mai incontrato la personalità conturbante di Chadži-Murat. Dal libro emerge il quadro disorganizzato, crudele e piegato alle logiche di potere e alle incomprensioni di culture incompatibili in cui versava il Caucaso di quegli anni, in particolare per quanto riguarda i bellicosi montanari del Nord.
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Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso, di Anatolij Pristavkin
Let Our Fame Be Great: Journey about the Defiants People of the Caucasus
Le terre di Nairì. Viaggi in Armenia, di Pietro Kuciukian
Vi aspetto come sempre su Instagram.
Alla prossima,
Eleonora