Samarcanda. Materiale preparatorio

Samarcanda. Materiale preparatorio

Ciao! Questo è il materiale preparatorio per i tour Poputchik a Samarcanda. È riservato a chi partecipa ai tour, per cui ti chiedo di non divulgarlo a nessuno. Grazie.

Il materiale ripercorre e integra l’itinerario, approfondendo gli spunti che raccoglieremo durante l’evento. Questo tour è incentrato sull’epoca timuride e su alcuni dei più straordinari esempi di architettura dell’epoca ancora conservati a Samarcanda, da sempre crocevia importantissimo negli scambi tra Oriente e Occidente, tra Russia e Persia, tra popolazioni turcofone e indeuropee.

Andiamo?

Al centro del mondo

Samarcanda è una città leggendaria. Sognata e rincorsa da molti, capitale indiscussa delle grandi rotte commerciali della Via della Seta, dimenticata dall’Occidente quando il Turkestan russo (termine con cui ci si riferiva all’Asia Centrale della Russia imperiale) fu annesso all’Unione Sovietica. Samarcanda oggi è la meta più famosa e turistica dell’Uzbekistan, ma non la sua capitale, che rimane la grande città cosmopolita Tashkent, ricostruita interamente nel 1966 dopo un devastante terremoto che la rase al suolo. È difficile inquadrare una città millenaria come Samarcanda tenendo i piedi per terra: illude, rapisce, mente, ma è anche molto più di quello che vuole far credere di sé stessa.

Questo tour sarà un tuffo nel passato attraverso la vita di molte persone che abitano una necropoli dalle infinite sfumature di azzurro e che oggi è ancora oggetto di fortissima venerazione e superstizione. Molti pellegrini vengono a pregare a Shah-i-Zinda, lasciano monete sulle tombe di principesse o condottieri a loro cari, visitano la moschea nascosta nei meandri del sito dove imam mistici cantano divinamente.

Quello che ci tengo a raccontarti in questo materiale preparatorio, però, è l’altro lato di Samarcanda, quello meno romantico e più al passo coi tempi: l’Uzbekistan contemporaneo, un Paese galoppante che cresce e sfreccia alla velocità della luce, modernizzandosi sempre di più, con tutti i lati positivi e negativi del caso. Al di là degli straordinari siti archeologici, Samarcanda, come la nostra Roma, è anche e soprattutto una città moderna. In epoca sovietica sono stati fatti lavori pesantissimi e – so che ti riesce difficile immaginarlo – esistono quartieri di Samarcanda che non differiscono molto dalle molte altre città sovietiche, dove le persone vivono tutt’ora in anonimi condomini prefabbricati a quattro piani. A Samarcanda ci sono università, uffici, fabbriche, anche se il grosso della vita economica del Paese si svolge a Tashkent, che coi suoi tre milioni abbondanti di abitanti non può competere con Samarcanda, che a confronto è una cittadina di provincia. Tra le varie città dell’Uzbekistan, se escludiamo qualche sito in particolare come Shah-i-Zinda, Samarcanda è una delle città dove meno si respira l’atmosfera da via della seta che chi ci arriva spera di trovare. Quest’atmosfera in Uzbekistan esiste ancora, ma in città più piccole e meno ricostruite per fare bella figura, come Bukhara.

Quanto alla storia e a cosa vediamo noi oggi dell’antica città di Samarcanda, devi sapere che la Samarcanda di Alessandro Magno non esiste più. Dopo aver dichiarato, guardandola dall’alto, di non aver visto la città più bella al mondo (così vuole la leggenda), la fece radere al suolo. Era il 329 a.C. Il luogo più antico della città, con resti e pitture risalenti al VI secolo, è la collina di Afrasiab, dove oggi sorge un grande cimitero e a cui è addossata la necropoli di Shah-i-Zinda, che visiteremo approfonditamente con Babi. È il mio e anche il suo luogo preferito in città!

La Samarcanda che vediamo oggi in foto risale quasi interamente all’epoca timuride (dal XIV secolo) ed è quindi infinitamente più recente della sua lunghissima e illustre storia. Quando dico timuride, mi riferisco alla dinastia del sanguinario stratega e condottiero Tamerlano, all’impero sterminato che ha costruito, conquista dopo conquista, e ai discendenti che hanno regnato dopo di lui. Attenzione: Tamerlano, chiamato in diverse lingue Timur, Temir o Demir, è considerato alla stregua di un santo in Uzbekistan, un eroe nazionale. Migliaia di neonati vengono chiamati come lui, le coppie appena sposate per tradizione fanno le foto sotto la sua statua.

Come tanti argomenti in Uzbekistan, dalla presidenza alle cariche politiche e a certi eroi nazionali, Tamerlano non è un personaggio su cui scherzare: anche noi dobbiamo essere profondamente rispettosi, come lo sono loro, o si rischia di offendere qualcuno. Non stupirti, quindi, se difficilmente sentirai parlare di quanto era crudele e senza pietà, e dei terribili eccidi che commetteva ogni volta che conquistava una nuova città. Sentirai piuttosto parlare del suo coraggio, della sua ambizione, della sua lungimiranza e del suo carisma.

Ma Tamerlano era uzbeco?

La storia ci dice però che Tamerlano non solo non era uzbeco, bensì mongolo, ma anche che le tribù nomadi uzbeche si scontrarono più volte con i timuridi. Dalla zona del lago d’Aral, a inizio ‘500, iniziarono a spostarsi sempre più verso oriente. L’Uzbekistan, come altri Paesi post-sovietici e non solo, sta attraversando fasi di importante revisionismo storico ed è normale vedere identificati Tamerlano e i suoi discendenti (come Ulugh Beg, uno dei più grandi astronomi dell’epoca) come esponenti della cultura uzbeca – identità etno-nazionale che nascerà di fatto solo secoli dopo, con la suddivisione dell’Asia Centrale fatta dall’Unione sovietica. Non è facile, da non esperti, distinguere cosa è vero e cosa è stato reinterpretato alla luce della storia contemporanea.

A prescindere dalle appropriazioni culturali, la fioritura artistica e culturale che Samarcanda visse per secoli, da ben prima che diventasse la capitale dell’impero di Tamerlano, è tanto importante quanto ignorata dalla storiografia occidentale. È uscito un mattone che sembra essere la summa storico-divulgativa più accurata sulla questione, ora anche in traduzione italiana. Sono 676 pagine sull’Illuminismo perduto, ed. Einaudi, di Frederick Starr. Giusto per darvi le misure, moltissimi degli scienziati, medici e filosofi musulmani che noi consideriamo arabi, in realtà erano persiani, o di cultura persiana, ma nati nell’odierno Uzbekistan, a Bukhara o a Samarcanda. Avete studiato a scuola Avicenna? Il suo nome non latinizzato era Ibn Sīnā: nacque vicino a Bukhara nel 980 ed è stato uno dei filosofi musulmani più importanti e famosi di tutti i tempi, tanto che persino Dante lo menziona (insieme ad Averroè, l’unico altro musulmano) tra filosofica famiglia nel IV canto dell’Inferno.

Altra chicca che dovreste sapere, giusto per capire quanto straordinario e amato sia Avicenna in Asia Centrale: in Tagikistan, paese di cultura e lingua persiana (come lo stesso Avicenna e come la città di Samarcanda, dove una buona parte della popolazione parla ancora tagico), l’ex picco Lenin oggi si chiama picco Ibn Sīnā. È rinomato per essere uno dei settemila più facili da scalare (relativamente parlando) e il percorso solitamente parte dal Kirghizistan, perché il picco si trova esattamente sul confine tra Kirghizistan meridionale e la regione del Gorno-Badakhshan, più noto come Pamir, una regione autonoma del Tagikistan.

Nelle montagne uzbeche, c’è pure un sanatorio costruito negli anni ’80 in cui somministrano intrugli e medicamenti a base di erbe secondo le antiche ricette di Avicenna. Questo fa parte del più grande filone dei sanatori centroasiatici, un mondo a parte dove credenze preislamiche, magia vera e propria e fantascienza sovietica anni ’80 entrano in collisione. Ci abbiamo dedicato una puntata di Cemento podcast, ma penso proprio dovreste anche vedere le foto raccolte nel libro di Maryam Omidi “Soviet Sanatoriums“, in cui c’è anche quello dedicato proprio ad Avicenna.

Se vi interessa l’aspetto della suddivisione etnica delle tribù nomadi e dei confini dell’Asia centrale tracciati dai sovietici negli anni ’20 del Novecento, allora dovreste sentire Transovietica, la puntata 01.05 di Cemento, il podcast che ho creato con Angelo Zinna. Parla soprattutto della Valle di Fergana, regione divisa fra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan dove gli scontri tra etnie (*termine dibattuto) sono riesplosi in epoca recentissima (gli ultimi, violentissimi scontri sono del 2010).

È un argomento vastissimo e molto intricato, ma interessantissimo.

Architetture

Operaie si riposano di fianco a Shah-i-Zinda

Tornando alle meravigliose architetture della nostra capitale timuride, devi sapere che l’Unione Sovietica ha restaurato – anzi, sarebbe più corretto dire ricostruito – la maggior parte dei mausolei e delle moschee che vediamo oggi. È uno dei motivi per cui non visiteremo né il celeberrimo Registan, ricostruito aggressivamente, né il mausoleo Gur-e-Amir, quello di Tamerlano, che è stato letteralmente tirato su da zero ed è oggi tutto luccicante. Shah-i-Zinda è un sito dove ogni sovrano o discendente di Tamerlano ha aggiunto il proprio mausoleo. Si è sviluppato nei secoli ed è straordinariamente ben conservato.

Per avere un’idea di com’era Samarcanda a inizio Novecento (1905 e 1911), non puoi perderti le immagini a colori, ottenute con una tecnica a tre scatti sovrapposti, realizzati con lastre colorate, di Prokudin-Gorskij, prima che diventasse il fotografo ufficiale dello zar, inviato a fotografare le immense regioni dell’Impero. All’alba della Rivoluzione scappò dalla Russia e oltre mille e novecento sue foto vennero acquistate dalla Library of Congress, che oggi le ha pubblicate. Sono semplicemente straordinarie, un documento di grande importanza storica per l’area.

Una bellissima selezione a cura di Amos Chapple la trovi su RFERL, altre sono disponibili in altissima risoluzione direttamente sul sito della Library of Congress.

Il Registan di Samarcanda nel 1911 e la città alle sue spalle (oggi completamente distrutta)

Come si vede da una qualsiasi immagine, Samarcanda cent’anni fa era completamente diversa da com’è oggi la città. Ne ho parlato in questo post sul mio sito. Che ci piaccia o meno, l’Unione Sovietica e l’arrivo massiccio di russi in città ha cambiato moltissimo l’assetto etnico, linguistico, sociale e urbanistico della città. Intorno ai mausolei e alle madrase è cresciuta una città moderna, trafficata, fatta di stradoni, edifici modernisti, cattedrali laiche o o chiese in stile pseudorusso. Oltre a ciò, il regime lungo un quarto di secolo di Islom Karimov ha pensato bene di enfatizzare questa pulizia della città – in particolare nascondendo i quartieri storici con altissimi muri, perché non siano visibili dall’esterno. Ne ho parlato in questo post sull’ex quartiere ebraico di Samarcanda, dove oggi sopravvive per miracolo una vecchia sinagoga sefardita, col suo solitario custode.

Segnalo anche questo libro uscito di recente e che non ho ancora fatto in tempo a leggere, ma di cui sto sentendo buone recensioni: Samarcanda, storie in una città dal 1945 a oggi, di Marco Buttino.

Musica

L’Uzbekistan ha molta musica tradizionale preislamica dalle caratteristiche straordinarie protetta dall’UNESCO, ma in tutta onestà vi dico che è difficile da apprezzare se non si hanno grandi competenze in musicologia.

Quanto a musica da ascoltare, voglio darti qualche consiglio sull’Uzbekistan contemporaneo, che è, Via della Seta e maioliche a parte, un Paese che sta crescendo alla velocità della luce e dove ovviamente è arrivata la modernità.

Non puoi non conoscere Gogoosha, la figlia dell’ex presidente Islom Karimov, pop star famosissima ma caduta in disgrazia presso il padre alcuni anni fa (voleva candidarsi contro di lui alle elezioni). Oggi è miracolosamente ancora viva, forse agli arresti domiciliari per una serie di scandali, tra cui una mazzetta milionaria per far entrare una compagnia telefonica svedese nel mercato uzbeco. Questa e altre storie sono raccontate nella nostra puntata di Cemento dedicata ai Dittatori (01.06).

RoundRun è girata nel bellissimo centro storico di Bukhara, più simile a come era la vecchia Samarcanda. Nebo molchit (“Il cielo tace”) è invece cantata in russo a duetto con Gérard Depardieu e non so, a me fa molto ridere.

Lo STIHIA è un festival di elettronica organizzato da due ragazzi di Tashkent che ha l’obiettivo di restituire vita a una zona destinata a morire, ecologicamente e umanamente: il lago d’Aral lato uzbeco, che si prosciugherà nei prossimi anni. Questo documentario breve (25 minuti) di George Itzhak è molto carino ed era l’apertura del Calvert Journal Film Festival: dà un’idea precisa di come convivono tradizione e modernità nell’Uzbekistan contemporaneo. Si vede anche qualche immagine di Samarcanda, filmata finalmente con la prospettiva di una persona del posto. Ti consiglio di vederlo per farvi un’idea un po’ più precisa del Paese contemporaneo. Se ti interessa approfondire la storia del Lago d’Aral, di cui non parleremo nel nostro tour, c’è una puntata di Cemento dedicata (02.02). L’ho curata soprattutto io, studiando e ricercando per settimane.

Se invece vuoi sentire della musica tradizionale, patrimonio intangibile UNESCO (soprattutto quella pre-islamica Shashmaqom), la trovate qui, ma avverto che è per ascoltatori esperti ed è difficile apprezzarla se si è profani.

Libri

Sfortunatamente, in italiano c’è ancora molto poco e gli autori centroasiatici tradotti si contano sulle dita di una mano. Finalmente è arrivato qualche reportage di viaggiatori stranieri e uno, che sicuramente conoscerete, ha avuto grande successo anche in Italia: si chiama Sovietistan ed è dell’antropologa norvegese Erika Fatland. Non è un libro che ho amato, ma so che a tantissim3 lettor3 di Pain de Route è piaciuto molto: è destinato a un target che si sta approcciando all’Asia Centrale per la prima volta.

Un altro libro straordinario si chiama Samarkand ed è un libro fotografico di viaggio e ricette dell’Asia Centrale. Dico senza problemi che quanto a libri di cucina è il più bello, ricco, curato e esteticamente appagante che abbia mai visto in circolazione. Oltre a ricette singolari di tutte le etnie che abitano l’Asia Centrale (e non solo quelle persiane o turco mongole, ma ovviamente anche russi, tatari, coreani, caucasici, ebrei e non solo), ci sono molti approfondimenti sul significato culturale dei cibi e sulla loro storia: dal pane, diverso in ogni città (e a volte diverso dentro le città: a Samarcanda se ne contano almeno 20 tipi!), alla frutta secca. Te lo consiglio di cuore se vuoi fare un regalo speciale, sono soldi ben spesi, anche se è in inglese e al momento è disponibile solo in ebook. Lo trovi su Amazon, ma onestamente penso sia più bello da avere cartaceo. È da poco uscito un suo altro libro sempre sul cibo in Asia Centrale, si chiama Red Sands, ma non l’ho ancora preso.

L’autrice principale pubblica cose carine sull’Asia Centrale in inglese, se volete seguirla si chiama Caroline Eden.

Per una panoramica sull’area e sulla Via della Seta, ti consiglio di cuore Nostalgistan, di Tino Mantarro (piccolo e brillante, divertente) e Ombre sulla via della seta del grande Colin Thubron, un gran libro, specialmente per quanto riguarda la Cina e lo Xinjiang, ma anche per l’Afghanistan e ovviamente l’Asia Centrale. Trovi link e recensioni un po’ più dettagliate in questo post.

Una fonte di informazione eccezionale sull’Asia Centrale è Novastan.org, sito franco-tedesco che pubblica contenuti anche in inglese.

Infine, un video semplicemente spettacolare sull’Uzbekistan e su Khiva: “Lost in Uzbekistan”, girato da un bravo videomaker, Timur Tugalev. Dà un’immagine sicuramente turistica dell’Uzbekistan e meno contemporanea, ma che riflette bene almeno una parte del paese che esiste ancora e di cui gli uzbechi vanno fieri.