Martina è partita con un coraggio invidiabile. Due mesi di viaggio e volontariato in Brasile, da sola, e un anno sabbatico, che sta volgendo al termine, tra viaggi e lavoro per capire cosa fare della sua vita. È la prima volta sudamericana di Pain de Route e Martina ci porta a Rio de Janeiro, tra favelas, grattacieli e giungla, nella prima delle tre puntate brasiliane. Io mi sono spaventata e commossa anche leggendola dal freddo primaverile russo.
Buona lettura!
Eleonora
Rio de Janeiro è una magia

Ci sono arrivata in una caldissima mattina di dicembre, e appena atterrata mi sono sentita circondata dell’atmosfera vibrante ed internazionale che devo dire mi mancava, dopo due mesi nel sud del Brasile.
Atterro all’aeroporto Santos Dumont e mentre aspetto Gustavo, amico di un’amica italiana, accanto alla stazione di Uber (già, perché in Brasile, e in particolare a Rio, non solo Uber è legale, ma offre un servizio impeccabile, o quasi – siamo pur sempre in America Latina) mi guardo attorno.
L’aeroporto è pulitissimo, sfavillante e ultra tecnologico. Sembra quello della capitale di uno dei più ricchi ed avanzati paesi del mondo. In realtà, Rio de Janeiro, con i suoi ufficiali 6 milioni di abitanti (che ufficiosi diventano circa 13 milioni), è una delle realtà più ricche di contrasti con cui mi sia mai confrontata. Ma è anche una città dalla straordinaria bellezza.
Rio è colore, è musica, è brio.
Ma soprattutto, Rio de Janeiro è natura


Il mio ostello si trova vicinissimo al Jardim Botanico, per cui è la prima cosa che esploro in terra carioca. Fondato nel 1808 dal re Giovanni IV di Portogallo, Jardim Botanico è un susseguirsi di fiori dai colori sfavillanti, di palme gigantesche e di angoli in cui la foresta cresce imponente e rigogliosa.
Tucani, pappagalli e scimmiette si aggirano indisturbate tra i sentieri costeggiati da laghetti e ruscelli. Un’area ospita orti di erbe medicinali, piante grasse e un’ampia collezione di ampolle di liquidi dai colori sgargianti che ricordano pozioni alchemiche.


La natura domina anche in Parque Lage, che sorge a pochi minuti a piedi dal Jardim Botanico e ai piedi del Corcovado.
Nel parco ci sono un antico stabile, sede di una scuola d’arte, una grotta angusta oggi convertita ad acquario e una torre medievaleggiante.
Durante la passeggiata trovo giovani artisti intenti a dipingere, giocolieri che si esercitano, fotografi che lavorano all’album di nozze di coppie in bianco. Il Cristo si innalza di fronte a me, ma lo vedo solo per qualche secondo, poi nascosto dalle nubi. La nebbia carioca avvolgerà il Corcovado anche nei giorni seguenti, rendendolo una presenza evanescente.

La sera esco con Gustavo, il mio nuovo amico brasiliano, e dopo essere rimasti bloccati mezz’ora nel disordinato e rumoroso traffico di Rio, arriviamo nel Botafogo, il quartiere meridionale del centro cittadino, ricco di musei, caffè e cinema d’essai. Ma anche di scimmiette che si arrampicano lungo i tronchi degli alberi. Ci sediamo in un ristorante giapponese e iniziamo la nostra cena, un sushi giappo- brasiliano doc. Niente a che vedere con quello che mangiamo in Italia: la cultura del sushi è di ben altro spessore, mi spiega Gustavo, che ha la doppia nazionalità italo-brasiliana e che ha vissuto più di un anno nel bel Paese. Il Brasile è lo stato con la più grande comunità di giapponesi fuori dalla madrepatria.
Dopo cena ci concediamo una passeggiata: l’atmosfera è vivace, giovane e internazionale, la gente affolla i marciapiedi bevendo una cervezinha e chiacchierando a gran voce. Vorrei scattare qualche foto ma non ho con me la macchina fotografica: è troppo rischioso e l’ho lasciata in ostello. Questo è il doppio volto di Rio de Janeiro, solare, scoppiettante e colorato in superficie, violento e crudo nell’oscurità.
Trascorro i giorni successivi in compagnia di Soline, una ragazza francese con cui condivido la stanza d’ostello. Essere una viaggiatrice solitaria in Brasile è stupendo, perchè solitaria sono gran poco. Io e Soline ci avventuriamo tra le attrazioni imperdibili di Rio de Janeiro: il Cristo Redentore (a cui arriviamo con un giro alternativo e dall’entrata posteriore, risparmiando così 19 reais), il Pan di Zucchero, Copacabana, Ipanema, Santa Teresa, Leblon, Scalinata Selaròn, Museo do Amanhã.


Si tratta di punti di interesse straordinari: Corcovado e Pan di Zucchero offrono una visuale mozzafiato su Rio de Janeiro, fatta di grattacieli, spiagge infinite e foresta. Le spiagge, Copacabana e Ipanema, sono lunghe e semivuote a causa del cattivo tempo. Nonostante ciò, verso le 17 si popolano di famiglie e bambini che fanno merenda con noccioline e hot dog. La Scalinata Selaròn è una meraviglia, coloratissima e intrigante. In realtà sono le case fatiscenti che la circondano ad attirarmi di più.

Leblon e Santa Teresa sono quartieri ricchi di vita, musica live per le strade, bar e negozi che vendono di tutto. Ma è sempre la foresta a dominare. La cosa più pazzesca di Rio, quella che mai dimenticherò, è il senso di immensità che trasmette la foresta nel cuore della città, una città che è strade mare cultura e natura incontaminata.

La penultima sera mi è successa una cosa che credo non dimenticherò mai.
Soline è partita per San Paolo (anzi poi è finita nella terra del fuoco solo con infradito e occhiali da sole, ma questa è un’altra storia e lei la sta raccontando sul suo blog) e io sono rimasta da sola. Esco con Gustavo e altri suoi amici, andiamo a una serata di musica elettronica in un locale pazzesco situato nella zona nuova, rimodernizzata in occasione dei giochi olimpici. Il posto è molto radical chic (mi sembrava di essere tornata a Milano!) e la serata procede alla grande.
Verso le 4 decido di andare via. Cerco un Uber nelle vicinanze e lo prenoto con l’app. Visto che mi trovo a circa mezz’ora di auto dall’ostello, prenoto un Uber “Pool” per risparmiare. Anche nei giorni precedenti avevo usato questa alternativa all’Uber classico: con l’opzione pool scegli di condividere il viaggio con altri potenziali passeggeri che prenotano la tua stessa auto. Sta poi all’app scegliere chi, per ragioni logistiche, sarà portato per primo a destinazione. Subito arriva la mia auto e, poco dopo, ci fermiamo a prendere una ragazza che ha appena terminato la sua serata lavorativa come cameriera ad una festa di laurea.

Sfrecciamo tra le strade deserte della città, senza mai fermarci ai semafori. È routine: di notte in Brasile i semafori sono gialli lampeggianti, così che le auto non siano obbligate ad arrestarsi ad un rosso. Fermarsi, infatti, significherebbe avere un’altissima probabilità di essere assaltados, rapinati dai malviventi che abitano le strade di giorno e di notte. Per lo stesso motivo, è pericolosissimo camminare per le strade dopo il tramonto, e da turisti prendere un Uber o un taxi diventa pressoché obbligatorio. Comunque, torniamo al mio viaggio: siamo io, l’altra giovane passeggera e il conducente. D’un tratto imbocchiamo una specie di superstrada al termine della quale si apre un paesaggio desolato fatto di capanne, spazzatura e cani randagi.
«A gente ‘ta indo pra a favela?» chiedo, timidamente.
Mi rispondono di sì; e un minuto dopo mi trovo all’ingresso di una della più grandi favelas di Rio de Janeiro.

Il conducente mette le quattro frecce, accende le luci all’interno dell’auto e abbassa i finestrini anteriori. Una delle guardie all’ingresso della comunità, ovviamente munita di fucile, ci si avvicina e chiede se siamo della polizia. Lo fa in modo brusco, scontroso. Io, che non mi sono mai trovata così vicino ad un’ arma presumibilmente carica, sono pietrificata. Mi trovo dall’altra parte del mondo, in un paese in cui legalità e criminalità sono due facce della stessa medaglia. È notte fonda e sto entrando in favela. Capisco che la mia vita è nelle mani di un autista di cui non ricordo neanche il nome, non ho idea di cosa succederà dopo e sento un brivido percorrermi la schiena.
L’altra passeggera mi riporta alla realtà quando saluta tranquillamente la guardia e in due parole spiega che sta tornando a casa dopo il lavoro. L’auto su cui si trova è un Uber, dice. La guardia dà l’ok e un attimo dopo siamo dentro. La favela è un’esplosione di vita, colori e musica: bambini si aggirano scalzi giocando o sgranocchiando del cibo; gli adulti ballano, ridono, bevono. Tutt’intorno si innalzano catapecchie e bidoni della spazzatura da cui mangiano cani randagi. La ragazza esce dall’auto, ringrazia e si allontana verso casa sua.
L’autista mi riporta verso la mia, mentre un tumulto di emozioni si agita nella mia mente. Lo stesso che mentre scrivo si fa strada tra i miei ricordi.
Martina
Questo è il primo di una serie di tre post sul Brasile.
Di Martina leggi anche:
- Alla scoperta dell’Olanda
- Fiori, funghi, api. 22 giorni nelle Repubbliche Baltiche
- Volontariato in Brasile nel profondo Sud. Diario di una viaggiatrice solitaria
- Viaggiare in Brasile e dintorni: consigli pratici
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