Russia for beginners: dalle Bàbushki al labirinto della Metro

Pubblicato il 6 Febbraio 2017

Scritto da Eleonora

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Prima di parlare di Russia bisogna partire dalle basi. E vi avviso: tenetevi forte, perché sono basi russe, e non si scherza. La Russia è un paese duro, dove tutto è estremo e per noi italioti cresciuti sotto un tiepido sole invernale è pressoché impossibile capire fino in fondo la mentalità e la logica del loro sistema (ammesso che ce ne sia una). Se però vi sentite fortunati, Pain de Route ha appena aperto un corso online di Sopravvivenza in Russia for beginners 😉
Partire da zero e capire (o, almeno, provarci) i pilastri su cui si fonda il mondo russo, chiaramente con molte risate in mezzo 🙂

Buona lettura!

Raccolta di 3 post pubblicati sulla Pagina Facebook di Pain de Route.

Le bàbushki – бабушки

(le nonnine, nonnucce, nonnette, nonne insomma)

Una bàbushka è un’istituzione. Ma un’istituzione morale, non ufficiale. Nella società sono l’ultima ruota del carro, ma dettano legge nei cuori di qualsiasi russo con un cuore.
Queste istituzioni sono di solito calate dentro pesanti e spessi stivali di lana antisesso, i valenki (валенки) (me li stavo per comprare, ma la gente mi guardava troppo male mentre li provavo, e ho capito che non sono ancora abbastanza bàbushka per indossarli: devo aspettare una quarantina d’anni); calate in gambotte grasse e tozze, senza caviglie e senza ginocchia, in vestaglie larghe a fiori d’estate, in piumoni-trapunta d’inverno, sempre infazzolettate, un po’ sdentate, sorridenti e genuinamente buone.

Perché le babushki sostanzialmente vogliono bene. A tutti, indiscriminatamente. E come seconda cosa offrono cibo: tanto, tantissimo cibo. Caramelline, dolcetti, crackerini, verdurine, fiorellini, bacche del bosco, litri di kompòt (компот) (una specie di succo dolce come una marmellata con frutti strani che galleggiano dentro), pesciolini essiccati, frittelline, formaggini. Insomma, qualsiasi cibo in -ino o in -etto esista in Russia.
Le bàbushki dominano le famiglie. Dominano tutti i mezzi di trasporto in Russia. Dominano le fiabe russe. Dominano l’immaginario di campagna della Russia di qualsiasi sognatore innamorato di terre ingrate e sconfinate, dove dal nulla spuntano dacie di legno con camini fumanti e nonnine in ansia per l’arrivo dell’inverno, intente a sgridare l’asino e a preparare la legna.

Non è chiaro cosa sia andato storto nel processo di evoluzione della donna russa o dove sia localizzato l’intoppo nella crescita delle giovani. Più che altro mi chiedo com’è che le ragazze russe si abbassino di trenta centimetri e si allarghino di qualche metro per diventare perfette bàbushki. Fatto sta, però, che di bàbushki ce ne sono quante ne vuoi, pronte a sorriderti ai semafori, nella bufera di neve, o a darti un abbraccio sul sedile di un treno.
La babushka spesso è pensionata, ma mai disoccupata: vende verdure dell’orto, fiori, conserve, pesci e altre georgicità fuori dalle fermate della metro, sui binari dei treni, nei mercati, lungo le strade di campagna; se la chiacchiera con altre bàbushki o con qualche spavaldo nonnino scampato alla cirrosi.

Babushka moderna che risente dei ritmi frenetici della capitale. Una sera di gennaio, Mosca, Russia

Poi noi si scherza, ma la Russia varrebbe la metà senza le sue babushki. Che sono la categoria più mistrattata della società russa. Spesso vedove, queste nonnine adorabili piene di storie da raccontarti (in solo russo, ovviamente) hanno pensioni da miseria (sui 100 euro mensili) e hanno patito cose nella loro vita che noi non possiamo neanche immaginare. Fanno la spesa da sole, senza badanti, senza figli o nipoti a portar loro le borse della spesa; camminano sicure nella neve, a -20°, piano piano; viaggiano da sole, sui treni, sulla metro, sugli autobus, senza carrozzine o montascale a trasportarle su e giù. Molte di loro vendono prodotti del loro orticello, spesso facendo parecchie ore di viaggio per arrivare dalla campagna in centro città, altre chiedono soltanto una moneta.
Lasciate loro qualcosa. Fatelo, davvero. Vi prenderanno le mani strette strette, vi abbracceranno come foste i loro nipoti più cari e vi sussurreranno qualcosa guardandovi negli occhi. Voi sorridete. Vi capirete con il cuore.

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La metro in Russia – метро

La metro è un nodo cruciale di qualsiasi città grande dell’ex impero sovietico: è un simbolo, una città parallela sotterranea, un biglietto da visita dell’immensa Unione di allora. E, come tante altre cose in Russia, funziona in maniera totalmente diversa a qualsiasi altra metro abbiate mai preso.

1. Non ci si ferma mai, si cammina sempre, anche se non hai la minima idea di dove andare; pena l’essere travolti senza pietà
2. Sulle scale mobili (chilometriche) si sta rigorosamente a destra per permettere agli sportivi e/o ritardatari di farle tutte di corsa in salita
3. Si lascia il posto alle bàbushki e agli invalidi di guerra o ai bambini capricciosi
4. Non si passa senza biglietto ai tornelli aperti, altrimenti una scattante sbarra metallica ad altezza inguinale vi toglierà per sempre la possibilità di figliare
5. Non si accarezzano i cani antidroga, o la polizia verrà a intimidirvi dicendo “oh zio tu il mio cane non lo tocchi, capito?”, come ho visto io stessa stamattina
6. Sulle scale mobili nello stesso senso, si guarda con aria di sfida e/o con la Moscow Bitch Face il vostro vicino sperando di batterlo di qualche frazione di secondo ed essere sulla scala mobile più veloce
7. Sulle scale mobili in senso contrario, si guardano intensamente le altre persone, sapendo che non le rivedrete mai più; a volte si può anche sorridere e in casi eccezionali si può intentare una storia d’amore lunga cinque secondi
8. Sulle scale mobili si sta fermi e in piedi, non ci si siede né si fanno cose strane o la bàbushka nel gabbiotto di controllo sarà costretta a prendere un microfono e sgridarvi di fronte a varie migliaia di persone, invece che stare a fissare il vuoto o sonnecchiare come fa di solito
9. Non si corre per prendere la metro, tanto ne arriva una ogni 90 secondi: rilassatevi, siete sicuramente meno in ritardo di quello che pensate
10. Si cerca di distinguere in fretta la scritta вход (entrata) dalla scritta выход (uscita) (sì, lo so, lo so, ma non è colpa mia), evitando magari di schiantarvi sulle porte sbagliate
11. Alla stazione di Ploschad’ Revolyutsij si cerca la statua della Guardia di Frontiera con il Cane, e si accarezza il muso del cane: pena sfiga eterna da qui alla fine dei vostri giorni. Se proprio non riuscite a trovarla (dopotutto ci sono 76 statue!), potrete sempre accarezzare la gallina della statua della contadina

Mosca è soprattutto metro. Milioni di visi che puoi guardare solo per qualche frazione di secondo e che vorresti fissare, ricordare in qualche modo, su cui vorresti fantasticare, e sai che non rivedrai. Ci si guarda molto e a lungo: è un “ora o mai più”.
Il signore col colbacco e le rose in un giornale. La donna col cappello a fungo bianco, addormentata all’Arbatskaya. La bàbushka vestita da mucca. Le ragazze coi vestiti stracciati e i capelli verdi, viola, blu, rosa. Il muratore in camicia, le mani rotte, all’uscita della Tret’yakovskaya, a -15°: non me li ricordo più, sono scivolati via nella fiumana di visi. Ti addentri in quel labirinto di cunicoli sferraglianti e soffocanti, discendi agli inferi, e gli altri tornano al mondo reale, di gelo e neve e bufera: la metro è una città parallela, immensa, dove tutti si sfiorano, si accarezzano con gli sguardi, sapendo di non lasciare alcuna traccia: la città sotterranea inghiottirà la loro immagine per sempre.

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Lenin – Ленин

I russi hanno un problema con Lenin. Non riescono a lasciarlo andare. E’ un eroe nazionale di massima importanza, a prescindere da tutto: e non lo lasciano andare nel vero senso della parola! E’ imbalsamato nella Piazza Rossa, identico da 93 anni, super sorvegliato, venerato, divinizzato. Un qualcosa di impossibile da capire, almeno per noi.
Orari del Mausoleo: dalle 10 alle 13, solo il martedì, mercoledì, giovedì e sabato. Domenica, lunedì e venerdì è chiuso. Ingresso gratuito, ma non dovete avere zaini grossi. Preparatevi a fare una bella coda al freddo!

Ieri l’ho visto. Due anni fa non avevo proprio voluto.

Mezz’ora di coda nel vento gelido di una bella giornata di sole, il solito poliziotto col viso granitico a guardarti bene in faccia, a controllarti le tasche, ad aprirti la borsa. Qualche turista spensierato, qualche aficionado, qualche nonnina devota, una madre russa e impellicciata col figlio. Un pubblico inaspettatamente vario.
Fuori, sulla piazza rossa, c’erano le giostre. Melodie strasentite della tradizione russa cantate da qualche bella vocina e riadattate al gusto pop, i bambini che mangiano zucchero filato, famiglie che si scaldano i visi alla luce invernale.
Noi in una processione muta, lungo le mura del Cremlino, nascosti dagli abeti coperti di neve: decine di uomini illustri, illustri per un tempo andato, garofani equamente distribuiti anche ai nomi maisentiti, per non disonorare neanche quelli con la targa coperta di neve che nessuno viene ad accarezzare.

Il mausoleo è sobrio e solenne insieme, ricorda una piccola ziggurat di porfido rosso imperiale. Basso, modesto, minore rispetto alla magnificenza slanciata della piazza. Persino la scritta sopra il portale non si vede bene. Caratteri cirillici maiuscoli incisi in rosso su pietra scura, che non hanno bisogno di altri commenti: Л Е Н И Н.
L’interno è completamente buio. Aria densa, palpabile, serietà massima. La discesa agli inferi è simbolica.
E’ un attimo: in fondo, una piccola luce. Divinità centenaria, che la Russia non si vuole decidere a far tornare mortale, a lasciar andare per sempre come un altro uomo qualsiasi della propria storia. Sembra che respiri, che sia solo assopito. Mi fermo per un secondo, per guardare più da vicino quel corpo imbalsamato immortale, il gran perdonato, il gran santificato, il porfirodefunto. Diévushka, mi dice la guardia, per piacere non si fermi. Bisogna camminare, non ci si può fermare neanche un secondo. Certo, rispondo, mi scusi.
Dorme in una teca immensa, di vetro quasi scarlatto, nella tenebra completa. Cranio molto grosso, lineamenti quasi asiatici, mani tozze, molto più basso di quello che immaginavo. E’ un uomo. Santocielo, un corpo, un corpo di uomo fatto di pelle e ossa come ne sono passati miliardi nella storia. E io sono lì, in processione, a chiedere l’oracolo al dio del tempio. Come dovrei reagire? Cosa dovrei pensare? Come dovrei sentirmi? Ho appena visto un cadavere.
La luce bianca all’uscita è accecante. Passano altri busti in pietra – Brezhnev, Andropov, Frunze, Kalinin e poi uno così coperto di fiori che non se ne legge il nome. Sguardo severo, baffoni grossi georgiani, lo sguardo distolto. Un brivido lungo. In che anno sono, circondata da signori coperti di fiori?

tomba stalin mosca russia
Le targhe commemorative lungo le mura del Cremlino, dietro il Mausoleo. Mosca, Russia

La musichetta delle giostre mi riporta al ventunesimo secolo. Lui, da là sotto, di certo non la sente. Meglio così, penso. Ieri era l’anniversario della morte di Lenin: 93 anni precisi. Sono inquieta.
Stamattina pensavo: dovrei consigliare ai lettori di Pain de Route di visitare il Mausoleo di Lenin a Mosca? In sincerità: non lo so. Dovete sentirvelo, e cercate di racimolare più coscienza storica e morale che potete, se ci andrete. Entrate con molte domande, ma sappiate che ne uscirete con molte di più.

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1 commento

  • After the Second World War, when many men did not return home, Russian society became a matrimonial society.
    Russian men are mostly mama’s boys. 🙂

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