Storia di una sbronza slovacca e di nonno ‘non standard’, l’unico che non è stato male

Pubblicato il 18 Luglio 2018

Scritto da Eleonora

Il risveglio dei campioni

Ok, forse ho una leggera tendenza ad esagerare le mie tragicomiche avventure, ma vi giuro su questo blog che gli slovacchi vincono su tutti. Sui russi, che bevono tanto, sì, ma alla fine non poi così tanto; sui kirghisi, che bevono più dei russi; sugli ucraini, che si divertono troppo; sui polacchi, che bevono tanto ma si danno un contegno; e sui georgiani, che oltre a mangiare tanto bevono ancora di più, correggendo qualsiasi alcolico leggero con un goccino di chacha – il liquore homemade che a volte raggiunge easy easy gli 80°. Gli altri, in confronto agli slovacchi, sono astemi. Soprattutto gli italiani.

Chi non fosse d’accordo con il mio manicheismo alcolico è benvenuto ad aprire un dibattito alcol-filosofico nei commenti a questo post su chi beva di più ad Est dell’Italia. Anzi, ad Est del lago di Garda, così includiamo anche i veneti nella grand competiscion.

Farò una piccola premessa: non sono affatto una gran bevitrice. Sono curiosa e assaggio di tutto, ma sei mesi di ubriachi collassati nella neve in Russia sono bastati a farmi tenere le distanze dalle alte gradazioni alcoliche. La vodka si usa per disinfettare lo stomaco prima di mangiare schifezze, come mi raccomandava la mamma di Xenia prima che partissi per la Kirghisia, oppure per essere di buona compagnia nei miei viaggi in Slavolandia&affini, quando i brindisi hanno un valore soprattutto culturale a cui non ci si deve sottrarre. Ma se posso cerco di, che so, rovesciarne un po’ nei vasi di fiori. Buttarne un po’ per terra. Risputare nel bicchiere. Insomma, piccole strategie di sopravvivenza a mondi troppo alcolici per il mio DNA quasi asiatico e la mia piccola stazza.
Questa volta i fiori erano finti, e il vaso era a bocca stretta.

Ma voi siete atterrati qui sperando di sentire le eroiche gesta di due painderoutiani sbronzi nell’Est della Slovacchia. E allora daje.

Sic.

Storia di nonno non standard e di una sbronza epocale

Il sentore che qualcosa, prima o poi, sarebbe andato storto l’avevo avuto già la prima sera a Bratislava, quando i nostri amici ci hanno portato a degustare grappe e grappini slovacchi alle 8 di sera, ovviamente prima di cena. Un aperitivino leggero a cui hanno provveduto loro: due shot da pol deci (mezzo decilitro) a testa. Abbiamo incassato il colpo, ma il fegato fortunatamente ha retto e le gambe ci hanno portato a casa.

Il secondo presentimento l’ho avuto quando, appena arrivati a Prešov, terza città del paese, Mima e Jozef ci hanno portati ad assaggiare, alle sei del pomeriggio, un bicchierone di vino di fragole e bacche, specialità locale. Il negozietto-bar vendeva vini sfusi già dalle 8 di mattina. Non sono sicura abbiate letto bene per cui lo ripeto: apertura dell’esercizio ore 8 del mattino. Ma chi andrà mai a prendersi una brocca di vino al bancone alle 8 di mattina? Gli slovacchi.

Prima di citofonare a casa di Dedko (in slovacco significa ‘nonno’) Jozef ci aveva un po’ preparati. Noi eravamo trepidanti ed emozionati insieme, ma soprattutto affamati della sua leggendaria cucina. Di cui non ricordo praticamente nulla, se non che ho pensato “forse ci salverà”.
Se, proprio.

Dedko non è un nonno… standard, come dire. Lo vedrete! È un grande cuoco, cucina da dio. Ed è davvero molto simpatico.

Il nostro nonno ‘Dedko’ abita in un sobborgo vicinissimo al centro storico, un’area davvero carina e rilassata, piena di verde e condomini riverniciati da poco. Entriamo in un piccolo appartamento con le pareti tappezzate di foto, ricami, tappeti, disegni, rivestito di legno chiaro e con la moquette a terra.

Appare il dedko pronto a stritolarci in un abbraccio di benvenuto. Incredibilmente in forma, catenelle d’argento al collo, occhi vispi scuri, capelli e baffoni bianchi sopra una maglietta nera che recita “life is a game, you can be a player or a toy”. Chiaro che lui era un player. Un player di 63 anni, con un nipote di 22.

In casa con lui erano di passaggio anche una figlia (giovanissima) e il fidanzato di lei, che dormivano nell’unica camera da letto della casa, segnalata da un cartello sulla porta che recitava “Princess”. Vi chiederete dove dormano invece gli altri coinquilini della casa, che a volte sono arrivati ad essere persino 6. Due veri letti in cucina e un divano letto nel salotto – talmente pieno di tappeti, ricami, statue, lampadari in finto cristallo, fiori finti e legno da sembrare una via di mezzo tra una baita del Sud Tirolo e un bunker di Stalin.

Non facciamo in tempo a sederci a tavola, sperando in un aperitivo o una cena anticipata alle 18.40, e a scambiare due chiacchiere con gli zii, che dedko inizia a disporre sul tavolo le sue armi da battaglia.

Pivo, perché senza birra non c’è vita, poi Hruškovica (grappa alla pera, 40°) e Becherovka, un liquore alle erbe prodotto in Repubblica Ceca che la zia mi aveva assicurato essere buono e leggero: solo 38 gradi alcolici.

Guardiamo il tavolo, sperando che d’improvviso si materializzi anche del cibo oltre alla Santa Trinità dell’alcol, ma nisba. Il cibo è sul fuoco. Dedko sta cucinando per noi dei deliziosi Bryndzové Halušky, cioè degli gnocchetti di patate cosparsi di pancetta a cubetti e bryndza, un formaggio di pecora molto diffuso nell’area. Nell’attesa, ovviamente, si brinda. E per schiarirsi la gola dopo la sublime disinfettata delle grappe, si beve birra a fiumi. Siamo titubanti, ma con la simpatia di tale giovane nonnetto non ci si può tirare indietro.

Dedko ovviamente non parla inglese. A dire il vero non parla nemmeno slovacco, perché è ceco e ha sempre mantenuto la sua lingua madre anche se vive in Slovacchia da moltissimi anni. Parla però del tedesco, perché l’ha studiato a scuola, e del russo, perché sotto il comunismo aveva fatto il soldato ed era stato mandato a Leningrado, Mosca e persino nel Caucaso – a Tbilisi, Yerevan e Bakù. Ya byl soldat, es es es er. Un lavoro infame, dice.

Non so chi e come avesse preventivamente detto a Dedko che parlavo tedesco, perché la cosa è sostanzialmente falsa: nonostante i miei sbronzissimi sehr gutbitte schön, Dedko si ostinava, anche dopo il quarto o quinto shot da un decilitro di roba alle erbe, a parlarmi nel suo delirantissimo tedesco con marcato accento slavo, che capivo con due secondi di ritardo e a cui rispondevo istintivamente sempre in russo. Alles klar. Khoroshò.

A volte Mima traduceva dal ceco all’inglese, e allora anche Sherpa poteva inserirsi nella delirante conversazione; a volte un fantasma german-protoslavo si alzava nella stanza, a volte non servivano parole per tradurre le battute un po’ brille di Dedko.

Le ultime cose che ricordo sono il quinto pol deci (o forse era un deci e basta) e il secondo o terzo boccale di birra, mentre Dedko, nel suo esilarante tedesco, mi raccomandava di vomitare giù dal balcone e non al gabinetto. Es ist super! ZUPAAA.

Se da un lato le gesta alcoliche sono divertenti, dall’altro più cresci più ci trovi un retrogusto un po’ macabro e squallido, specialmente in paesi dove è normale vedere gente che fa colazione con una birra in mano. La serata è finita male ma bene, e per dignità dei partecipanti ometterò tutti i dettagli più creativamente vomitevoli. Col senno di poi, mi sono seriamente chiesta come abbia fatto a pensare anche solo per un nanosecondo di riuscire a reggere tutta quella roba a stomaco vuoto, specialmente con la stanchezza di tre giorni di trekking in montagna addosso.

Il mio lunghissimo vuoto di memoria è stato interrotto solo dalla voce di Jozef che mi rassicurava mentre dedicavo tutto il mio più caloroso affetto a un sanitario slovacco.

– It’s okaaaay Ela, it’s ok. Everything is okay. Dobre, dobre, Ela. It’s okaaay.

E poi il risveglio alle 5.00 di mattina, con l’alba, e quel minuto buono per realizzare dove diavolo mi trovassi. Di fianco a me, su un divano letto nel salotto, dormiva Sherpa, anche lui non messo molto bene.

Meno male che siamo italiani, è la prima cosa che ho pensato. Forse l’ho anche detto.

Qualche foto sbronza

Mi sono alzata e ho trovato Dedko tutto arzillo che passeggiava per casa in calzoncini facendo il bucato e chiedendomi gentilmente se desiderassi frühstücken mit Kaffee oder Tee. Dedko, l’unico che non era stato male. Gli ho detto che un po’ di chay poteva andare, spasibo, ma non molto perché mi sentivo ancora un po’ krank allo stomaco. Quando ha fatto per versarmi della becherovka nella tazza ho creduto di morire… Scherzo tipico di queste lande di bevitori. In cucina, Jozef dormiva come un sasso. Il salotto era praticamente diventato una lavanderia. Poi Dedko mi ha lasciato fare una doccia mentre è andato a comprare qualcosa per la colazione (il tutto verso le 6 di mattina, ndr). Dopo la doccia ogni cosa ha riacquistato un odore e, ahimé, forse avrei preferito che non lo riacquistasse.

Jozef, nonostante la sbronza, come tutti gli slovacchi era pimpante e pronto a correre già alle 8 di mattina. Appena alzato ha chiamato Mima, che era andata a dormire dai suoi (dai quali in teoria saremmo dovuti andare a dormire anche noi, se le nostre condizioni non fossero precipitate rovinosamente già alle 8 di sera): il primo treno per Košice era in una ventina di minuti, per cui dovevamo prepararci a schizzare fuori di casa più o meno in quello stesso momento.

Sul treno ho (stupidamente) osato affermare che, tutto sommato, pensavo sarebbe potuta andare peggio.

Per fortuna il mio cervello ha avuto la buona idea di non registrare le peggiori scene della serata, regalandomi una decina di ore di innocente buio totale. Gli highlights fanno molto ridere se raccontati tra amici, ma scritti nero su bianco fanno tristezza. Per fortuna, la nostra serata non è stata affatto triste, nonostante l’acidità di stomaco.

Il giorno dopo poi mi è stato raccontato che qualcuno ha davvero vomitato dal balcone. Non volevo crederci. Il commento di Mima è stato: beh, Pavel è un vicino molto simpatico! Capirà.
Vi risparmio tutti gli sgocciolanti dettagli ma si accettano scommesse a scopo di lucro sul fortunato autore dell’impresa.

Detto ciò, non so come, ma siamo vivi. Non sono mai stata più felice di essere nata nella terra del vino e non in quella della Becherovka.
Ma non vedo l’ora di sentire le vostre avventure.

Ele (con un cruciale contributo mnemonico di Sherpa, Mima e Jozef)

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3 commenti

  • Prima di arrivare alla fine dell’articolo mi sono chiesta se qualcuno avesse veramente vomitato dal balcone 😛
    Certo che ci vuole coraggio per reggere gli standard Slovacchi, io non so se ce l’avrei fatta 😀

    • A

      Ciao Viola, ahaha, infatti nessuno ha retto se non il nonno… persino il nostro amico slovacco alla fine è stato male: è roba da pazzi e non so come avessi anche solo per un secondo pensato di potercela fare! 😀

  • E io che mi ero sorpresa di fronte alla nonnina bielorussa della mia amica quando tirava fuori ogni sera l’amaretto di saronno da bere coi biscotti come fosse un tè o di fronte alla colazione georgiana a base di caffè, biscottini e chacha in quantità (immancabilmente riproposta ad ogni altro pasto o pseudo-tale nel corso della giornata). Mi sono divertita a leggere il tuo racconto : ) Reportage sempre simpatici e informativi e viaggi interessanti!
    Saluti da una tua coetanea linguista

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