Visitare il Kirghizistan, il paese più storpiato dell’Asia Centrale – Ghighirghistan, Kirkikistan, Kirzikistan e mi fermo qui: è una buona idea, giuro! Il Kirghizistan è una piccola gemma montuosa che emana accoglienza e spontaneità. Partendo dal nome, che so che state ancora processando tra un’imprecazione e l’altra, come tutte le cose se lo scomponi è più facile: kirghiz(i)- è la versione italianizzata della traslitterazione russa kyrgyz e letteralmente significa “le quaranta tribù”. Il suffisso -stan invece viene dal persiano e significa “luogo” e quindi “paese”.
Ma a parte il nome, che al di là del bel significato non è dei più felici, oggi voglio raccontarvi perché vale la pena visitare il Kirghizistan – anche se non riuscirete ancora a pronunciarlo al momento della partenza. Non preoccupatevi, a Sherpa è successo ed è ancora vivo.
Orbene, in questa dimenticata repubblica delle immense increspature montuose dell’Asia Centrale, la più lontana da qualsiasi mare degno di questo nome (no, il Caspio non è un mare, suvvia), la più dimenticata e snobbata, abita un popolo gentile dalla lingua deliziosamente cacofonica, dagli occhietti a mandorla pur senza assomigliare ai cinesi han, dalle tradizioni nomadi antiche e ancora vive tra le più assurde del mondo. In Kirghizistan è normale incontrare yurte adagiate su pascoli d’alta quota in posizioni improbabili, è normale scavallare picchi imbattendosi in strabilianti laghi turchesi, trovare cavalli in libertà, sentirsi schiacciati da un’ospitalità sconfinata e rimanere abbagliati dal verde delle possenti montagne del Tien Shan.
Vi ho convinti, andiamo?
1. Visitare il Kirghizistan dei nomadi, quelli veri
Avete mai visto una yurta vera? E indossato un kalpak? In Kirghizistan ancora oggi molte persone vivono con uno stile di vita nomade o seminomade, spostando la propria casa stagionalmente, secondo le esigenze del bestiame. Simbolo del Kirghizistan è la yurta, la cui apertura sul tetto (che serve a far passare la luce e a far uscire il fumo del fuoco) è rappresentata anche sulla bandiera. La yurta è un modo incredibilmente ingegnoso e versatile di abitare: una tenda costituita da una complessa struttura in legno che è però leggera e facilmente smontabile, protetta dal freddo e dal vento grazie a un rivestimento in pelli di animali. Non ci crederete, ma in Kirghizistan fanno addirittura delle gare di velocità in montaggio e smontaggio yurta! Direi che da sola è la ragione numero uno per visitare il Kirghizistan 😉
Se siete curiosi e volete approfondire la tradizione, gli usi e le origini della yurta vi consiglio di ascoltare questa puntata di Cemento Podcast.
2. Il turchese dei laghi alpini
Uno sguardo alla mappa e appare un immenso bacino d’acqua leggermente salmastra, l’Issyk-kul’*, dove issyk significa “caldo” e kul’ significa “lago”, perché, nonostante si trovi ad oltre 1600m di altitudine, questa enorme distesa d’acqua salata non ghiaccia mai. Quasi ogni vallata del paese è illuminata da piccoli laghi alpini di un turchese profondo, raggiungibili con trekking nella natura più incontaminata, da verdi vallate alle cime più aspre e rocciose. Il più famoso è forse l’Ala-kul’, non lontano dalla cittadina di Karakol, seguito dal lago verde surreale di Sary-Chelek, nell’Ovest del paese, o dal lago Tulpar, che riflette la cima innevate del picco Lenin, il più docile dei bestioni over 7000 dell’Asia Centrale. Ad altissima quota le distese d’acqua si fanno meno profonde e più larghe, circondate da paesaggi dai colori surreali. Il bagliore dei laghi e le sagome scure delle montagne danno la sensazione di trovarsi in un mondo bidimensionale, dove ogni cosa è estrema, bellissima e durissima insieme. Come il lago Chatyr-kul’, nella piana che precede il passo Torurgart che porta verso Kashgar, in Cina.
*n.b. La trascrizione Issyk-kul’ è russa, quella kirghisa, più corretta ma meno usata, è Ysykköl.
3. Accoglienza kirghisa a braccia aperte
Ad essere onesti l’ospitalità a cuore aperto è endemica in tutta l’Asia Centrale, ma in Kirghizistan, specialmente nelle zone rurali, assume i tratti dello stupore genuino per lo straniero, creatura ancora molto rara in certe zone. In Kirghizistan è normale essere invitati a cena ed è normale che tutto il parentado si raduni per conoscervi, anche se non avete una lingua comune; è normale essere invitati a dormire ed essere trattati come dei re – scordatevi di poter pagare per la cena, per un taxi o per qualsiasi altra cosa. Un’ospitalità del genere è spiazzante, ed è impossibile non strabordare di gratitudine di fronte a una generosità così sconfinata e autentica. Visitare il Kirghizistan è pericoloso solo per la vostra diffidenza nei confronti degli estranei 😉
4. Visitare il Kirghizistan delle montagne immense
Mentre voi siete ancora lì a balbettare Kikirkistan le più ardite compagnie di scalatori francesi e tedeschi hanno già doppiato la cima del picco Lenin. Eh già: negli ultimi anni tra trekkers e alpinisti va di moda visitare il Kirghizistan. Le montagne kirghise, che sia il Tien Shan (o Tian Shan) o il Pamir kirghiso, sono fatate – specialmente in primavera e inizio estate luccicano di un verde abbagliante impossibile da dimenticare. Non penso che in Asia Centrale ci sarà mai una Svizzera, ma qualcuno aveva chiamato il Kirghizistan la Svizzera dell’Asia Centrale…
5. I sapori della vita rurale
L’aspetto migliore della cucina kirghisa è la sua naturalezza e genuinità: quando nasci nella repubblica più lontana dai mari del mondo e servita giusto da un paio di piccolissimi aeroporti internazionali non è esattamente facile proporre menù esotici e ci si deve arrangiare col chilometro zero. Che a noi non dispiace affatto: nonostante i piatti non siano molti e la cucina sia molto semplice, saranno i sapori intensi della vita rurale a conquistarvi, tanto da non vedere l’ora di poterli riprodurre a casa (io appena tornata mi sono comprata Samarkand, forse il libro fotografico di cucina della Via della Seta più bello del mondo).
Cosa mangiare in Kirghizistan? Il laghman, dei noodles in brodo gustosissimi, con verdure, erbe fresche e un po’ di carne. Non stancano mai e soddisfano sia nel gelido inverno sia col vento frizzantino delle sere d’estate. Poi c’è da provare il plov, la vera lingua franca centroasiatica: riso cotto al vapore insieme a tenerissima carne di montone stufata per ore, carote dolci e spezie – ma la ricetta non è certo una e ogni città propone la sua variante. Il migliore dicono sia tagico, gli uzbechi ne sbandierano la paternità, mentre in Kirghizistan il migliore è senza dubbio quello del Sud. Leggendari e diffusi dal Caucaso alla Siberia anche gli shashlyki, gli arrosticini/spiedini di carne alla brace da assaggiare da soli oppure in un panino infarcito di cipolle crude (ci vanno aggressivi, lo so). Il tutto sempre e costantemente accompagnato dal non, il pane centroasiatico cotto in forno di argilla che ogni città interpreta a modo suo decorandolo meravigliosamente: è lievitato ai bordi come una ciambella, mentre nel mezzo rimane schiacciato grazie ai piccolissimi buchi “stampati” con un timbro apposito fatto di chiodini. Ogni famiglia ha il suo personale e fa il proprio pane, rendendolo unico.
6. Sinergia tra uomo e natura
Non so voi, ma per me una yurta appoggiata su un pascolo in riva a un lago è forse l’immagine più profonda ed emblematica del rapporto tra uomo, nonché la prima foto che mi ha spinto a visitare il Kirghizistan. I kirghisi vivono permeati dalla natura, che è parte fondante della loro cultura. Chiaramente si tratta di un rapporto pieno di contraddizioni, come è tipico di ogni popolo la cui sopravvivenza dipende fortemente dal lavoro degli animali e dalla terra. Questa relazione delicatissima, che oscilla tra mistificazione e crudeltà, è raccontata meravigliosamente da un piccolo libriccino che ho letto qualche mese fa: Il battello bianco di Chyngyz Aitmatov, il più grande scrittore kirghiso, attivista per i diritti umani e dell’ambiente nonché deputato sovietico e ambasciatore dell’URSS per l’ONU, il Benelux e l’Unione Europea.
7. Una lingua stranissima
Il kirghiso è una lingua turcica, sorella delle altre lingue centroasiatiche eccetto il tagico e l’afghano, che sono invece lingue indoeuropee imparentate col persiano. Il kirghiso fa parte del gruppo linguistico kipchak-nogay e assomiglia più di tutti al kazako, al tataro e al karalpako; più alla lontana anche al turco, all’azero e al mongolo, oltre che ad altre lingue meno conosciute come il ciuvascio, lingue turciche del Caucaso e altre lingue siberiane. Si scrive perlopiù in alfabeto cirillico con alcuni simboli propri. Ma l’avete mai sentito parlare? Il suo ricco inventario vocalico, tra cui 4 vocali arrotondate (che si pronunciano cioè arrotondando le labbra come nella nostra “u”) e la presenza di alcune consonanti uvulari, lo rendono veramente curioso da ascoltare. Il kirghiso, come molte lingue turciche, utilizza il sistema dell’armonia vocalica: vocali variabili delle parole cambiano sulla base di vocali fisse per fare in modo che tutte le vocali della parola appartengano allo stesso gruppo, secondo un processo di assimilazione. Non credo riuscirete a imparare molto più di salam (salve) e ırakmat (grazie), ma sarà comunque divertente ascoltare una lingua coi suoni delle immense montagne.
8. Incontro di culture lungo la via della seta
Alcuni dei rami più trafficati della Via della Seta passavano dal Kirghizistan, come testimoniano piccole gemme sopravvissute come il caravanserraglio di Tash Rabat, ai piedi del passo Torugart per la Cina, o come la vibrante città commerciale di Osh, ultima grossa città della Valle di Fergana. Dopo gli immensi imperi della storia antica e medievale, le vicende storiche anche più recenti hanno portato vari popoli a mescolarsi: uzbechi e kirghisi (non senza conflitti), minoranza musulmana dungan nell’area di Karakol, proveniente dalla Cina; e ancora coreani del Dal’nij Vostok, tedeschi del Volga, russi, ucraini e non solo – un ottimo motivo per visitare il Kirghizistan andando a caccia di diversità etnica.
9. Visitare il Kirghizistan per le sue tradizioni
Dalla caccia con le aquile al leggendario kok boru, noto anche come buzkashi, il polo della capra morta che è sport nazionale e da solo costituisce una motivazione sufficientemente assurda per visitare il Kirghizistan. Le partite di kok boru dal vivo sono impressionanti, specialmente quando si mobilitano fino a 400 uomini a cavallo (anche se ufficialmente potrebbero partecipare solo 12 cavalieri per squadra). Lo scopo del gioco è gettare una capra morta nel kazan del campo dell’avversario, ovvero un’enorme vasca di metallo posta alle due estremità dei campi di gioco. Il kok boru è una tradizione serissima regolamentata ufficialmente dagli anni ’50: addirittura i giocatori devono giurare di comportarsi in maniera onesta prima di iniziare la partita! Alla fine la povera capra sbatacchiata viene mangiata, perché la carne sarà per forza di cose diventata tenerissima.
Altre tradizioni degne di nota sono l’arte decorativa applicata ai tessuti e agli oggetti di uso quotidiano: dai bellissimi cappelli kalpak fatti di lana ai vestiti di seta, di solito portati con dei gilet di cotone molto spesso (confesso che ne ho comprato uno per le serate speciali!), fino alle decorazioni dei tappeti e delle yurte. C’è da rifarsi gli occhi nel Museo Nazionale di Bishkek oppure semplicemente nei mercati.
Libri sul Kirghizistan consigliati
A dir la verità di libri sul Kirghizistan ce ne sono ben pochi: è più facile trovare libri sulla Via della Seta che trattano anche del Kirghizistan. Tra quelli che ho letto vi consiglio di cuore:
Il battello bianco di Tschingiz Aitmatov, libriccino commovente scritto da uno dei più grandi scrittori, politici e intellettuali kirghisi. Un piccolo capolavoro che parla di uomini, natura e crescita. Lo trovate su Amazon, Libraccio, Mondadori e Feltrinelli
Nostalgistan di Tino Mantarro, libriccino che racconta di varie avventure esilaranti tra Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Xinjiang cinese. Una bella porzione del libro è dedicata ai pascoli d’alta quota delle montagne kirghise e ad alcune tappe decisamente fuori dagli itinerari più battuti, come il piccolo villaggio di Arslanbob, famoso per le sue foreste di noci. Lo trovate su Amazon, Libraccio, Mondadori e Feltrinelli
Ombre lungo la via della Seta di Colin Thubron, la cronaca di due elettrizzanti viaggi per ripercorrere la Via della Seta via terra, da Xian in Cina fino ad Antiochia in Turchia, passando per l’Asia Centrale, l’Afghanistan, l’Iran e infine la Turchia. Belle analisi della società kirghisa e dei problemi sociali che la attraversano, oltre che fantastiche narrazioni paesaggistiche. Lo trovate su Amazon, Libraccio, Mondadori e Feltrinelli
Samarkand, un piccolo capolavoro di libro di cucina raccontato attraverso foto senza bisogno di didascalie. Un regalo azzeccatissimo per un viaggiatore appassionato anche di cucine esotiche, dal plov al non, dalle zuppe dei coreani d’Asia Centrale fino ai laghman. Lo trovate su Amazon, Mondadori e Feltrinelli
A presto,
Ele
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4 commenti
Amina
Avresti potuto mettere la canzone Kyrgyzystan di Mirbek atabekov e così via.
Maria Prosi
Ho in mente dei bellissimi tappeti che mi ricordano molto il viaggio trascorso in questo splendido posto, io e mio marito avevamo le valigie piene e non siamo riusciti a trasportarli ma questo sito ci ha salvato !!
weareloc
In questo caso si può proprio dire: “meglio BEN accompagnati che soli!” e se non ci fossi già stata verrei subito!
Eleonora
eheheh ma tu sei di parte, dai :)) però grazie ♥